Perché nello Sport i panni sporchi si lavano in Famiglia

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Perché nello Sport i panni sporchi si lavano in Famiglia

I panni sporchi si lavano in famiglia? Chi vede il mondo dello sport, in particolare del calcio, con occhi scettici in fatto di morale, interpreta il proverbio come il primo comandamento non scritto di quel mondo, a cui sono costretti ad uniformarsi tutti i tesserati, dal grande campione di Champions al portiere di riserva di una squadra di terza categoria. L’autonomia in fatto di amministrazione della giustizia, che per legge lo Stato ha concesso al sistema sportivo italiano, può anche far storcere la bocca a chi vede o ha visto in ciò la concessione di un privilegio, una sorta di licenza a un possibile uso arbitrario della giustizia all’interno del recinto dello sport.

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In realtà non è cosi, e a fugare i dubbi sono intervenute almeno due sentenze della Corte Costituzionale, delle quali una molto recente, con le quali i giudici della Consulta hanno ribadito la piena legittimità dell’autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto all’ordinamento statale, confermando i limiti che - “legittimamente” appunto - soffre la giustizia dello Stato rispetto a quella sportiva.

Sono noti i casi, a cominciare dal fenomeno “calciopoli” scoppiato una decina di anni fa, in cui la Corte federale della FIGC ha comminato sanzioni, sospensioni, radiazioni a personaggi anche di primo piano del mondo del calcio, e ha condannato squadre blasonate di serie A alla retrocessione in B o addirittura in C. Negli anni, qualche dirigente e alcuni atleti tesserati con società sportive si sono rivolte alla giustizia amministrativa - che è il giudice statale (eventualmente) “competente” in tema di sport - con la speranza di far cancellare sanzioni loro comminate da una Corte federale sportiva e confermate dal Collegio di garanzia del CONI quale Organo di giustizia sportiva di ultima istanza. La remissione dei casi da parte del Tar Lazio alla Corte Costituzionale ha prodotto il risultato che abbiamo detto: l’autonomia della giustizia sportiva non lede i diritti costituzionali dei singoli, salvo la possibilità di rivolgersi al Tar per farsi risarcire i danni in caso di sentenze sportive errate.

Con queste sentenze la Consulta, ribadendo l’”autonomia giurisdizionale sportiva”, ha di fatto a nostro avviso (neanche troppo indirettamente) confermato lo stesso fondamentale ruolo sociale dello sport e il relativo valore educativo in termini di etica, di osservanza di regole comuni, di lealtà verso la propria squadra, di rispetto degli avversari. Non a caso Democrazia nelle Regole (www.democrazia nelle regole.it), l’associazione che porta avanti da anni il compito di diffondere la cultura del rispetto delle Regole come fondamento del vivere civile, ha di recente sottoscritto un protocollo di intesa proprio con il CONI. Dopo aver organizzato - grazie alla collaborazione con vari Ministeri e, localmente sul territorio nazionale, con diverse Prefetture - eventi formativi, seminari e incontri nelle scuole di tutta Italia (dialogando con oltre un milione di studenti), l’intesa firmata con il CONI ha l’obiettivo di parlare soprattutto ai giovani di Regole con il linguaggio universale dello sport, ribadendo che il “rispetto dell’altro” - come appunto nello sport - è importante nella vita di tutti i giorni. Per suggellare l’accordo, il CONI ospiterà nella sede di Roma il prossimo Festival della Civiltà, l’evento annuale di Democrazia nelle Regole che si terrà nella prossima primavera.

Giulio Bacosi su Milano Finanza del 20.08.2019

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